Cosa succede se gli uomini iniziano a entrare nel discorso femminista, e si comincia a ragionare sulla loro inclusione dentro ai percorsi di cambiamento nelle relazioni tra i generi, nel privato come nello spazio pubblico?
Perché il discorso della giovane Emma Watson, testimonial della campagna Onu HeforShe ha lasciato indifferente se non ostile parte del movimento delle donne, invece che essere considerato una vittoria, dopo l’emersione della brutta campagna social delle ragazze against feminism?
Si è detto spesso che senza la voce degli uomini contro la violenza di genere, in ogni forma e declinazione, non ci sarà fine al fenomeno del femminicidio e che, in generale, senza una presa di posizione collettiva e individuale del mondo maschile contro la cultura patriarcale la violenza derivante dagli stereotipi sessisti resterà saldamente presente nel mondo.
Eppure non è né semplice né immediata l’inclusione degli uomini nel percorso di cambiamento: fino a che siamo noi a parlare, manifestare, dire del sangue e dell’ingiustizia la voce è solo la nostra.
Quando lui prova a parlare, ecco che può capitare che ci prenda la paura, giustificata dalla storia fin qui, che la nostra voce possa essere zittita.
Può capitare di avere paura di perdere quel poco di autorevolezza e di potere così a fatica raggiunta. Si può cambiare il mondo senza prendere il potere, e senza cedere quello che si è costruito?