La conflittualità è una dimensione che caratterizza fortemente il nostro quotidiano, e che riguarda il nostro mondo interiore, la sfera delle relazioni sociali che viviamo e l’intera realtà sociale che ci circonda.
Nella maggior parte dei casi viene rivestita di un’accezione puramente negativa, viene vista come problema la cui risoluzione forzata, a volte violenta, intesa sia come strappo sia come fuga, non può non esserne l’unica soluzione possibile e praticabile.
In un’ottica diversa però, che vede il conflitto come componente naturale dell’esistenza della persona e della vita di relazione, questa modalità di approccio puramente distruttiva può lasciare il posto ad una visione del conflitto come luogo di incontro con l’alterità e la diversità, e in quanto tale spazio per l’elaborazione di uno stile di vita capace di superare la ricerca ristretta di soluzioni individuali.
CONTRIBUTI dI Hala Arafa, Elisabetta Borzini, Simone Castagno, Sérenade Chaf, Laura Cima, Marieme Helie Lucas,Il Ricciocorno Schiattoso, Monica Lanfranco, Monica Martinelli, Jindi Mehat, Alessandra Montesanto, Asra Q. Nomani ,Rossana Piredda, Diego Repetto
PRENOTAZIONI A monica.lanfranco@gmail.com
Riconoscere il conflitto, nominarlo, gestirlo in modo positivo, favorirne una sua trasformazione nonviolenta, è una capacità che già possediamo in alcune situazioni ma di cui raramente siamo consapevoli; si tratta allora innanzitutto di prendere coscienza di come siamo abituate/i a pensare al conflitto, di quali sensazioni ci trasmette e di quali reazioni fa scattare, al fine di rafforzare i comportamenti positivi, intesi come possibile espressione di competenze, che già manifestiamo, anche se spesso solo parzialmente, in tali situazioni.
Una tale consapevolezza, unita alla conoscenza dei presupposti della pratica nonviolenta e delle principali dinamiche attive nei conflitti, è il punto di partenza infatti per maturare ulteriormente le competenze – intese come capacità relazionali – indispensabili per non essere costrette/i a fuggire di fronte ad una situazione conflittuale o a rifugiarsi dietro reazioni distruttive, per sentirsi in grado di poterla attraversare senza rimanerne prigioniere/i.
Resta, sotto traccia, il fatto che non sempre è possibile uscire da conflitti che hanno perduto l’origine e che quindi sono solo portatori di dolore inutile perchè non si possono più trasformare: in questi casi il consiglio vivissimo è di abbandonare il terreno: ci vuole molta forza per evitare di assecondare l’istinto alla rissa, sebbene il patriarcato ci abbia abituate a considerare il non ingaggiare la lotta come debolezza.