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Fronte copParlare di sesso è urgente

di Monica Lanfranco

Una simpatica ed attivissima amica femminista mi ha mandato un messaggio per dirmi che non sarebbe stata al seminario di Altradimora www.altradimora.it nel primo week end di settembre, il cui tema impegnativo era Quale libertà nel mio piacere? Sessualità, eros, desiderio, mercato.

“Del resto ho quasi raggiunto la pace dei sensi”, chiosa. Una battuta, certo.
Ma è interessante come riveli la stretta connessione inconscia che c’è, a partire dal linguaggio (e la lingua precede e dà forma alla realtà) tra sessualità e guerra. Le metafore belliche legate all’amore, ai sentimenti e alle relazioni tra i corpi le impariamo e facciamo nostre, spesso senza ragionarne, tra i banchi di scuola, nella poesia e nella letteratura: espugnare il cuore, vincere le resistenze, lanciare dardi e frecce, in amor vince chi fugge, tutto è concesso in amore e in guerra. Parole, sì, solo parole, che non significano che poi si passi alla messa in pratica, e quindi che per ‘vincere’ nella erotica tenzone si tirino frecce vere. Però ecco alcuni spunti di realtà: molte ragazze nelle scuole italiane che incontro nella formazione sul rispetto tra i generi minimizzano i ceffoni dati dai fidanzatini per gelosia, nel fraseggio comune si conviene che una certa rudezza è lecita nel corteggiamento, perché spesso le donne dicono no ma pensano sì e quindi vanno ‘convinte’ con energia, sulla stampa il femminicidio è ancora un delitto passionale.
La cultura diffusa accetta che l’amore ammetta una modica quantità di violenza tra le persone, che dal verbale può diventare concreta.
Poi c’è la pornografia, che ormai è il primo veicolo con il quale sin dalle elementari si apprende la sessualità, spesso senza la mediazione con le persone adulte di riferimento (familiari, insegnanti, operatori sociali e sportivi): come brutalmente spiega il documentario nordamericano The price of pleasure thepriceofpleasure.com/clips_trailer.html non si tratta più di donne nude, ma di umiliazione, sottomissione e violenza: è questo che passa dagli occhi alla mente di milioni di bambini, bambine e adolescenti.

Come ciò incida negativamente nelle relazioni è un tema presente anche tra chi, nel femminismo, non è contro il porno. Erika Lust, per esempio, è una femminista svedese che produce porno ‘dalla parte delle donne’, e in un suo spiritoso e appassionato Ted, www.youtube.com/watch?v=Z9LaQtfpP_8, ammonisce che è ora che il porno cambi: “Il sesso può essere sporco, ma i valori devono essere puliti”, dice.

La sessualità, il suo mutare con l’evoluzione della storia umana, le sue implicazioni con la libertà e il potere é stato il tema centrale, (e ancora lo è) nello sviluppo del pensiero femminista. Alcuni dei testi più importanti del femminismo hanno la parola ‘sesso’ nel titolo: La politica del sesso di Kate Millet, Questo sesso che non è un sesso di Luce Irigaray, Il Secondo sesso di Simone De Beauvoir, solo per citarne tre dei più poderosi.

Rispetto a quei testi storici sono cambiati in modo rilevante il linguaggio e lo sguardo sull’argomento, e oggi esistono visioni femministe assai distanti e discordanti sulla connessione tra sessualità, libertà e desiderio, dal momento che non è più possibile ragionare di sessualità senza parlare di mercato, il mercato globale dove tutto si compra, compreso pezzi di carne umana, senza molta differenza tra servizi sessuali, schiavitù, lavoro, diritti e responsabilità, individuale e collettiva.

In questa aggrovigliata matassa anche alcuni uomini stanno ragionando, nominando la responsabilità del loro genere sull’argomento, rendendosi disponibili al confronto. E che bellezza trovare il contributo del filosofo Alain De Button, che per la sua Scuola di vita ha prodotto il video La filosofia del sesso orale: www.internazionale.it/video/2015/07/03/filosofia-sesso-orale Chissà se nella scuola superiore italiana, assediata dall’onda oscurantista delle sentinelle in piedi e i buoni ultimi nogender questo video si potrà diffondere.

Ritorno al futuro

Rileggendo il primo numero di Marea del 2003, nel quale affrontammo l’argomento della sessualità, sembra siano passati molto più di dodici anni. Internet, la cui parola più digitata è non a caso sex, non ha solo mutato antropologicamente le nuove generazioni rispetto all’approccio alla comu- nicazione, al sapere e all’apprendimento, ma anche rispetto al modo di imparare la sessualità umana. E le notizie non sono buone: come si afferma nel docufilm The price of pleasure di Chyng Sun e Miguel Picker, che nel 2008 girarono l’inchiesta rendendola pubblica “Molti bambini scoprono la pornografia con internet, ma la prima immagine che vedono non è quella di un corpo nudo di donna, ma quella di una donna penetrata in ogni orifizio in modo aggressivo. Intenet, con la sua facilità di consultazione e la sua velocità, ha contribuito in modo enorme alla produzione, al consumo e alla diffusione della pornografia. Si stima che esistano quattrocentoventi milioni di pagine dedicate al porno on line, ogni anno 130 mila video sono pubblicati nel web e oltre nove milioni sono i video porno affittati. La domanda è: in che modo le immagini e i messaggi della pornografia contribuiscono alla formazione dell’identità sessuale e come incidono nelle relazioni? E in che modo l’industria del porno diventa parte del discorso pubblico dominante sulla sessualità?” L’inchiesta è dedicata al mercato e alla realtà nordamericana, ma c’è un inquietante punto di contatto con la vicenda italiana, che bene ha evidenziato la blogger del sito Il ricciocorno schiattoso, della quale pubblichiamo parti della ricerca durata molti mesi di osservazione del sito italiano gnoccatravels. Così come negli Usa la potente lobby dell’industria pornografica è riuscita a influenzare la legge, ottenendo che non sia reato la produzione di video pornopedofili se le bambini e i bambini non sono reali ma virtuali, così nelle chat del sito italiano gli utenti si stanno cominciando a chiedere, dati i numeri ingenti di accesso e di frequentazione al sito, se non sia il caso di intentare una class action per influenzare i prezzi (e l’organizzazione) della rete di servizi di sesso a pagamento, quindi il mercato della prostituzione. Dalla richiesta di riapertura delle case chiuse a quella di autodefinirsi soggetti sociali per una class action in qualità di ‘clienti’ il passo è davvero enorme: stiamo assistendo all’emersione di una soggettività pubblica e legittimata della figura del fruitore di servizi sessuali, e non stiamo parlando di maschi disabili. La questione è spinosa e assai inquietante, visto anche il dibattito asfittico dentro ai movimenti femministi, spesso inchiodati sulla questione della presunta libertà di scelta di vendere il corpo da parte di alcune (una netta minoranza rispetto all’esercito di donne forzate e vittime di tratta). Rispetto a poco più di 12 anni fa, quando nel mio pezzo su Marea di allora ragionavo a partire dai dati emersi da una ricerca sessuologica, nella quale emergeva una dose massiccia di ignoranza (maschile in particolare) sulla propria semplice fisiologia sessuale, oggi l’allarme non è scemato, anzi. All’ignoranza tecnica che ancora permane si aggiunge quella, ben più grave, empatica rispetto alla relazione. Se sono 25 mila gli uomini sani, molti dei quali sposati, che frequentano un sito come gnoccatravels, e da moltiplicare almeno per tre i contatti occasionali al sito ed ad altri analoghi, di che sguardo maschile sulla sessualità stiamo parlando?

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