NUMERO 2 2017: VECCHIAIA

0001Nel suo libro La religione della terra la compianta attivista per i diritti delle donne ed ecologista premio Nobel africana Wangari Maathai scrive, riferendosi alla cerimonia riservata agli uomini della popolazione Kikuyu: “Una volta che gli uomini avevano finito di crescere i propri figli e figlie ci si aspettava che divenissero i custodi della saggezza e i protettori dello stile di vita della comunità. Per questo erano considerati pacieri e giudici: durante la cerimonia che li introduceva allo stato di anziani veniva consegnato loro un ramo dall’ albero di thugì”.

Oggi le parole legate al passaggio del tempo sono quasi dei tabù: difficile sentire parlare le persone di sé come ‘vecchie’ considerando che, se è vero che la vita si è allungata, è però paradossale considerare giovane e definire ‘ragazzo’ o ‘ragazza’ chi ha oltre quarant’anni. Se la saggezza non è più un valore e un traguardo dell’età adulta e della vecchiaia, come fare a costruire una narrazione positiva del passare del tempo sui corpi rivolta alle nuove generazioni?

In questo numero proviamo a ragionare su quella che Simone De Beauvoir definì nel 1960 l’età forte, quella che individua, dopo la giovinezza, il cammino della consapevolezza e quindi anche dell’avvicinamento alla vecchiaia, che invece sembra, nella nostra modernità liquida e rimottiva, una fase da rimandare all’infinito, da cancellare come un’onta, per galleggiare nell’eternità plastica del circo senza tempo della bellezza anodina e senza spessore della performance. Buona lettura, e buona estate con Marea.

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