La politica della felicità
di Cecilia Cortesi Venturini*
Esperienze personali mi hanno convinto della necessità di politiche pubbliche che perseguano la ricerca della felicità: ritengo, infatti, fondamentale il contributo della politica per promuoverla. Questo mio convincimento deriva da lunghi soggiorni in paesi del Nord Europa, del Centro Africa e da una vita vissuta in Italia.
Per quanto riguarda parte del femminismo italiano la felicità è sempre stata considerata una questione privata, basata su l’inseguimento individuale di ciò che si vorrebbe realizzato, tanto da renderci felici nel quotidiano (l’intricato nodo tra felicità e politica di Luisa Muraro).
Tuttavia ritengo che la politica pubblica rivesta un ruolo fondamentale per perseguire la felicità individuale tanto che la felicità di donne e uomini dovrebbe essere considerata il reale obiettivo dell’allocazione di risorse e di investimenti.
Nella mia accezione di felicità attraverso le politiche pubbliche, non mi baso sui molti studi di psicologia economica che riguardano la teoria economica astratta che si fonde tra felicità pubblica ed il comportamento individuale. Tanto nel mondo degli affari e della finanza, i modelli comportamentali basati sulla felicità ed il benessere possono prevedere oscillazioni del mercato e il sentimento dei consumatori, tale da prevedere quali possano essere le persone pronte ad acquistare un nuovo prodotto o servizio. In questi casi si cercano di utilizzare metodi empirici per studiare qualcosa di così soggettivo e sfuggente come la felicità. Ritengo invece che sia necessario prendere sul serio la ricerca della felicità e ciò in considerazione che quest’ultima non può essere astratta interpretazione dei bisogni e quindi dei consumi, ma vera realizzazione dei desideri: ciò che manca spesso nelle politiche pubbliche, ed alla politica dei partiti del nostro paese, e che è stato completamente oscurato negli ultimi 20 anni, è il perseguimento della felicità e le politiche che ruotano intorno al desiderio ed ai desideri.
Nel nostro paese abbiamo vissuto un momento di grave ripiegamento su noi stesse; ci è stato impedito di sognare e di avere desideri, ostacolando la possibilità di progettare il nostro futuro, tanto che non siamo riuscite a ‘vivere il presente con gli occhi del futuro’ (Marc Augé).
Siamo state terrorizzate dal domani, tanto che la parola futuro ci destabilizza; non siamo state in grado di occuparci della nostra felicità, troppo impegnate a lottare quotidianamente contro un sistema che voleva impedirci di progredire ogni giorno, che ci riportava indietro rispetto alle conquiste effettuate.
Siamo dovute andare all’estero per trovare gravidanze e per seguire quei desideri di maternità e paternità a causa della legge 40/2004; abbiamo dovuto lottare per ottenere l’affidamento dei figli in caso di violenza domestica, perché l’affido condiviso riguarda oltre il 90% delle separazioni, nonostante in Italia vi sia una percentuale altissima di donne con figli che subiscono violenza dai propri partner; abbiamo perso il lavoro e non siamo più riuscite a rientrarvi, se non con posti precari, saltuari e mal retribuiti. L’occupazione delle donne e delle giovani donne è diventata un problema e la maternità un tabù. La salute, anche riproduttiva ha inciso sulla possibilità di essere felici: depressioni e psicosi, ormai sono sempre più comuni anche fra le giovani donne, che temono il futuro perché incerto e pieno di insidie…, anche perché la “scomparsa del domani come orizzonte possibile aumenta inevitabilmente l’ansia nel presente” (Marc Augé),
Per questi motivi dobbiamo riuscire a riappropriarci del futuro, pensare che il domani non può che essere meglio dell’oggi, perché il domani è il futuro e in esso tutto è ancora possibile!
All’oggi, per come lo abbiamo vissuto e per come ce l’hanno fatto vivere, manca la progettualità che invece si rivela importante sia nella sfera individuale che nell’agire collettivo come dimensione capace di fornire all’idea e all’intenzione un percorso operativo per realizzarle.
L’individuazione dei fattori chiave che influenzano la felicità di una persona sono ormai noti: famiglia e vita personale, salute e lavoro, partecipazione alle scelte della comunità e condivisione della socialità, nonché le libertà fondamentali ed il rispetto dei diritti umani: qualcuno parla di politica ‘prima’ come estrema felicità, ma è la sovranità degli individui che riconosce, come scelta, il modo migliore per perseguire la felicità.
Questo vale sia per l’individuo che per la collettività.
Le persone felici sono più creative. Vivono più a lungo. Hanno meno probabilità di diventare depresse o suicidarsi o avere dipendenze da droga o alcol. Le persone felici tendono ad essere un bene per la società. Hanno forti legami interpersonali e sociali, credono nella democrazia e vi partecipano.
Ed è chiaro che per poter avere delle politiche pubbliche che perseguano la felicità dei propri cittadini e cittadine (ma anche di tutte le persone che legalmente o illegalmente vivono all’interno del nostro Stato) è necessario avere donne che rivestono ruoli istituzionali importanti e che costruiscano insieme agli uomini una democrazia paritaria.
Il desiderio di essere felici è centrale per la nostra natura. Già con l’utilitarismo inglese di Jeremy Bentham si ambiva ad una società in cui le persone fossero più felici possibili e in cui la felicità di ogni altra contasse altrettanto.
E’ importante fare un passo in avanti, perché, se pur vero che le donne hanno desiderio di essere felici, in genere, così come gli uomini, le politiche pubbliche devono riuscire a comprendere che possiamo avere individui più felici solo se vi sono servizi e strumenti che facilitino il vivere quotidiano.
Questa dovrebbe essere la filosofia per la nostra epoca, la guida per la politica pubblica e per l’azione individuale. E dovrebbe venire a sostituire l’individualismo intenso che non è riuscito a farci felici.
Ecco perché il processo politico deve essere istituzionalmente strutturato in modo che gli interessi comuni diventino lo scopo da perseguire: la ricerca ed il perseguimento della felicità aiuta anche a migliorare le decisioni politiche e l’investimento delle risorse pubbliche. I risultati ottenuti dalla ricerca della felicità individuale dovrebbero essere presi come input nel processo politico collettivo.
L’impegno della politica per perseguire la felicità di donne e uomini è ormai passaggio fondamentale, senza il quale non riusciremo ad uscire dalla crisi economica e sociale che pervade il nostro paese. Oggigiorno invece la politica sembra soccombere a poteri che sono estranei al comune sentire né si rivolge ad aiutare a realizzare i desideri.
Il diffondersi della piena autonomia individuale e delle libertà è un modo per accrescere la propria felicità e di conseguenza quella collettiva: nel benessere di ciascuno è incluso quello che deriva dalla felicità degli altri, tanto che la realizzazione della felicità altrui comporta un accrescimento di piacere ed il perseguimento dei propri desideri.
*Avvocata, esperta in bioetica e Consigliera di parità a Parma; ha partecipato nel 2009 al primo seminario di Altradimora sul Corpo indocile, il suo intervento qui