Ritrovare la voce. Il movimento internazionale delle sopravvissute
di Chiara Carpita*
La prostituzione riguarda tutte: chi è dentro e chi è fuori. La prostituta ha una funzione precisa nell’ordine patriarcale: è un monito per tutte, è l’altra che ogni donna avrebbe potuto essere. Potrebbe sempre essere. (Pina Nuzzo, UDI)
Nel 1985 alla conferenza Women Against Pornography, femministe anti- pornografia e attiviste pro-sadomaso e prostituzione si fronteggiavano; mentreuna di loro stava sostenendo che l’industria del sesso doveva esseredecriminalizzata perché la prostituzione era un lavoro, una donna chiese diprendere la parola: “Questa è una bugia totale. Sono stata nella prostituzione e quello che stai dicendo non è vero”. Quella donna era Evelina Giobbe ed è grazie al suo coraggio che nacque il primo gruppo di sopravvissute alla prostituzione. Dopo il suo intervento infatti molte donne le si avvicinarono dicendo di essere state prostituite, si scambiarono i numeri di telefono e proprio quel giorno mentre era in autobus inventò il nome del gruppo che si era appena formato, WHISPER, Women Hurt in Systems of Prostitution Engaged in Revolt, Donne che hanno subito violenza nel sistema prostituente in rivolta. Ventisei anni dopo, nel 2011 è ancora una volta una donna di fronte ad una sala gremita di persone in occasione del lancio della campagna irlandese contro lo sfruttamento sessuale Turn off the Red Light ad intervenire: “Il mio nome è Rachel e sono stata nella prostituzione per sette anni”. Nel 2012 Rachel Moranproprio come Evelina fonderà insieme ad altre quattro sopravvissute irlandesi SPACE [Survivor of Prostitution Abuse Calling for Enlightenment-Sopravvissute all’Abuso della Prostituzione che chiedono di illuminare l’opinione pubblica]. Un anno più tardi l’associazione diventerà internazionale arrivando a comprendere donne sopravvissute all’industria del sesso provenienti da 9 paesi(Germania, Francia, Danimarca, Sud Africa, Nuova Zelanda, USA, Inghilterra, Irlanda, Canada). La nascita di SPACE concide con l’uscita del libro di Rachel,Paid For (Stupro a pagamento)5, secondo la direttrice della CATW Taina Bien- Aimé, “una vera arma politica”. Un libro rivoluzionario che rappresenta unospartiacque per la storia del movimento abolizionista. Definito “il miglior libro mai scritto sulla prostituzione” da Catherine MacKinnon, “un capolavoro del partire da sé” da Luisa Muraro, Stupro a pagamento rappresenta il manifesto di un movimento politico di donne che denunciano la violenza subita nell’industria del sesso e si battono per l’abolizione del sistema prostituente. Rachel è anche la voce di migliaia di donne prostituite costrette al silenzio, molte delle quali “si sono perse a fare la vita”6. Come ha raccontato in uno degli incontri organizzati dalla nostra associazione in collaborazione con SPACE, molte delle ragazzeche erano con lei sulle strade di Dublino negli anni ’90 sono morte a causadella prostituzione ed è proprio per quelle ragazze e per le migliaia di donne che continuano ad essere stuprate e uccise dai compratori di sesso che Rachel ha deciso di uscire alla scoperto con il proprio nome e intraprendere unabattaglia globale per mettere fine all’oppressione più antica del mondo.
Questo desiderio accomuna molte sopravvissute alla violenza maschile che diventano attiviste, ‘non voglio che quello che ho vissuto accada a nessun’altra’,è il sentimento che porta alla reazione di fronte al trauma, il riscatto passa attraverso il prendersi cura di un’altra donna perché la sua liberazione dalla violenza diventa la liberazione di tutte le donne. Come ha detto Alessandra Bocchetti il dolore “viene trasformato in tesoro e questo tesoro è la coscienza di sé, un senso libero e nuovo di stare al mondo”.7 Il movimento femminista ha restituito voce alle donne sottraendole all’annientamento, al silenzio imposto dal dominio maschile. Un silenzio necessario al mantenimento dello status quo, costruito grazie alla strategia della rivittimizzazione. La vergogna è l’arma usata dalla società patriarcale per silenziare le vittime, per normalizzare e rendere invisibile la violenza, garantendo così l’impunibilità ai violenti.
Le femministe hanno invece nominato questa violenza portando alla luce i meccanismi di oppressione e attaccando il dominio maschile nelle sua fonda- menta: il controllo dei corpi delle donne, la cultura dello stupro.
Come spiega Rachel nel suo libro, la vergogna è stato l’ostacolo più grande da superare per denunciare quello che aveva vissuto. Ma quando una donnaprende parola sfidando l’ideologia patriarcale altre donne continuano l’opera dismascheramento in un processo che diventa inarrestabile. Le sopravvissute di WHISPER come quelle di SPACE si sono opposte alla narrazione misogina della prostituzione come ‘mestiere più antico del mondo’, ‘lavoro come un altro’, il cui scopo era quello di garantire uno sfogo per i bisogni-diritti sessuali degli uomini che altrimenti avrebbero stuprato le altre donne, quelle ‘non prostituite’. Per loro che l’avevano vissuta, la prostituzione era violenza maschile e chiedevano che fossero criminalizzati i responsabili di questa violenza, i compratori di sesso. Avevano scelto l’acronimo WHISPER, in inglese sussurro, mormorio, perché come spiegava Evelina in un documento del gruppo: “le donne nel sistema prostituente sussurrano, mormorano tra di loro della costrizione, del degrado, dell’abuso sessuale e delle percosse nella nostra vita, mentre i miti sulla prostituzione sono gridati nella pornografia e nei media mainstream e da autoproclamati esperti che non hanno mai avuto esperienza nella prostituzione.” Proprio per questo chiedevano che lo statosmettesse “di considerare la prostituzione un crimine senza vittime o come un crimine commesso dalle donne” e che prendesse consapevolezza “che è un crimine commesso contro le donne dagli uomini”.
WHISPER era nato in contrapposizione al gruppo liberista pro-prostituzioneCOYOTE, Call Off your Tired Ethics- Basta con la vostra vecchia morale, chediceva di rappresentare “la voce delle prostitute”, ma le fondatrici non sitrovavano, né erano state nella prostituzione. Si spacciavano per “sindacato delle prostitute” quando nel 1974 tra 30.000 iscritti le donne prostituite eranoappena il 3%, e tra i membri c’erano politici, poliziotti, studenti, accademici ecompratori di sesso. Il gruppo riceveva finanziamenti dalla fondazione Playboy e dalla chiesa metodista Glide Memorial di San Francisco, si trattava quindi di un gruppo di pressione politica che aveva come obiettivo quello di decrimi-nalizzare l’industria, ovvero gli sfruttatori e i compratori di sesso8.
Nasceva così il marketing dell’abuso sessuale venduto come potere delle donne, ‘empowerment’ e il mito della ‘puttana felice’. Le rivendicazioni deicosiddetti gruppi odierni ‘dei diritti delle/dei sex worker’ sono identiche aquelle di COYOTE, la prostituzione è considerata lavoro e si chiede che anchele ‘terze parti’ ovvero proprietari di bordello e agenzie di escort siano decriminalizzati. Come nel caso di COYOTE, l’appartenenza a questi gruppinon è subordinata al fatto di essere stata o di essere nella prostituzione e in particolare ne fanno parte con ruoli di dirigenza sfruttatori come Douglas Foxdell’International Union of Sex Workers che si dichiara apertamente ‘sex worker’,nonostante sia il proprietario della più grande agenzia di escort britannica, laChristony Companions. Un altro esempio eloquente è quello della vice-presidente del Global Network of Sex Workers Project, Alejandra Gil (il cui gruppo è stato consultato da Amnesty International per la scrittura della sua policy sul ‘sex work’)che è stata condannata a 14 anni per tratta in seguito alla denuncia di una ragazza prostituita9. La recente inchiesta condotta dalla scrittrice e attivista femminista Julie Bindel in 40 paesi del mondo ha smascherato gli interessi di questi gruppi, una potente e ben finanziata lobby pro-prostituzione fatta di accademici e attivisti che ha costruito una narrazione per rendere presentabile l’industria del sesso a partire dalla ripulitura del linguaggio (‘sex work’ invece di prostituzione, ‘terze parti’ invece di sfruttatori ecc.) occultando così la violenza di sfruttatori e compratori di sesso. Gruppi come COYOTE hanno adottato da subito la strategia del mobbing per intimidire e mettere a tacere le sopravvissute. Ma il movimento non si è fermato, sempre più donne hanno preso parola contro l’industria del sesso formando nuovi gruppi per aiutare le donne ad uscire dal mercato del sesso. Il 23 novembre 2018 un’esponente chiave del movimento MeToo, Ashley Judd insieme alle sopravvissute di SPACE international hanno tenuto un’importante conferenza a Parigi, MeToo and Prostitution: Survivors of the Sex trade break silence ( http://www.cap- international.org/activity/metoo-and-prostitution-survivors-of-the-sex-trade- break-silence/). Ashley Judd ha definito Rachel Moran la sua eroina, ha detto di essere onorata ed orgogliosa di sostenere le sopravvissute nella lotta per l’abolizione della prostituzione. Il significato politico di questo incontro è stato fondamentale: il metoo, la presa di parola contro la violenza maschile unisce tutte le donne annullando la distinzione misogina tra non prostituite e quindi appartenenti ad uno status superiore e prostituite, una classe di donne inferiori destinate a subire violenza, una violenza occultata e normalizzata, per garantire la sopravvivenza dell’ordine sociale patriarcale. Il femminismo radicale che individua proprio nella violenza maschile sulle donne la causa della nostra oppressione, considera invece la prostituzione (e la pornografia, che non è altro che prostituzione filmata) la forma più emblematica di violenza maschile.
La prostituzione, come spiega Rachel, è la “commercializzazione dell’abuso sessuale”, uno stupro a pagamento, il denaro infatti non compra il consenso, ma soltanto il silenzio della persona abusata. Ma quando Rachel decise di scrivere la sua esperienza in un blog, prima che il suo libro fosse pubblicato, usando lo pseudonimo di FreeIrishWoman, rimase sconvolta e ferita nelloscoprire che c’erano delle femministe che la attaccavano, si prendevano giocodi lei, la intimidivano. Non si sarebbe mai aspettata un comportamento del genere proprio da chi diceva di battersi per i diritti delle donne: “Fu uno chocquando scoprii che le mie parole e le mie esperienze erano rispettate e condivise dalle femministe radicali mentre erano ridicolizzate e messe indubbio da quelle che si facevano chiamare femministe liberali”10 […] un interoesercito di venti e qualcosa anni, giovani donne bianche, privilegiate dal puntodi vista sociale parlavano di prostituzione come l’apoteosi dell’empowermentfemminile. E sostenevano questa tesi nonostante non fossero mai state nella prostituzione, avendo passato diversi anni a studiare in modo da tenersi allalarga da quella classe di donne svantaggiate che invece quell’esperienza l’avevano fatta veramente, decidendo che quell’esperienza era innocua, vista questa è la forma più rivoltante di ipocrisia.”
Sui media, ma anche in contesti femministi si parla di conflitto, di divisione nel movimento delle donne sulla questione prostituzione. In realtà la narrazione della prostituzione come lavoro e liberazione sessuale si insinua in ambientifemministi soltanto negli anni ’80, per poi diffondersi in particolare negli anni ’90 in corrispondenza con quella che alcune studiose chiamano “la terza ondata” e altre “post-femminismo”11. Il femminismo cosiddetto “liberal”, chein italiano viene tradotto con “libertario”, ma dovremmo piuttosto chiamarlo “liberista”, è anche definito “femminismo della scelta” (la definizione è di Michaele L. Ferguson12). Questa corrente, che è diventata popolare sopratutto in ambito accademico, si concentra sulle scelte individuali delle donne cancellando ogni riferimento al contesto socio-economico e culturale in cui le donne si trovano a scegliere, ovvero quello del dominio maschile che le costringe in una posizione di vulnerabilità e subalternità. Non è un caso chequesto ‘feticismo della scelta’ abbia acquistato forza all’interno di una certanarrazione delle donne in un momento storico in cui il neoliberismo patriarcaleha imposto il culto dell’individualismo, un’ideologia necessaria per impedire qualsiasi rivendicazione socio-politica che avrebbe minato il sistema. Tra leparole d’ordine del femminismo libertario ci sono autodeterminazione, libera scelta, ‘empowerment’; l’espressione ‘violenza maschile’ è stata sostituita da unpiù generico, neutro, rassicurante ‘violenza di genere’. Spostare l’accento dalconcetto di donna come gruppo oppresso a quello individualistico di donna singola autodeterminata impedisce qualsiasi organizzazione collettiva delle donne, qualsiasi forma di resistenza politica.
L’imperativo dell’autodeterminazione è diventato lo specchietto per le allodole per promuovere l’industria del sesso come strumento di emancipazione per ledonne. Quando con il mio gruppo scrivemmo un documento in vista della nostra partecipazione all’incontro Libera ergo sum (Paestum ottobre 2013),descrivevamo la prostituzione come la “forma ufficiale di sessualità del neoliberismo.”13. Eravamo disorientate e preoccupate dal diffondersi tra lenostre coetanee che avevano tra i venti e trent’anni di quello che ci sembravauna sorta di “post-femminismo”, perché si poneva in aperta rottura con il femminismo della seconda ondata a cui noi invece ci ispiravamo. Era evidente che la conseguenza ultima di questa forma individualista di femminismo era quella di non riconoscere alcuna responsabilità agli uomini che commettono violenza, né alla società patriarcale che esercita pressioni sulle donne affinchésiano obbedienti e mute. Si parlava quindi di ‘libera scelta’ della donna diprostituirsi, ma mai delle innumerevoli scelte degli uomini, i compratori di sesso, che preferiscono rifugiarsi nella messa in scena rassicurante del sesso a pagamento, vero e proprio esercizio di potere, per non confrontarsi con la libertà sessuale femminile.14 E l’altra grave immediata conseguenza era quella di far scomparire lo svantaggio economico e sociale sotto la retorica della scelta, così che lo sfruttamento sessuale delle donne più emarginate diventava‘opportunità di emancipazione’. Si diffondeva quindi la definizione inaccettabile di ‘sex worker migrante’ (dall’inglese ‘migrant sex worker’) per parlaredelle donne migranti sfruttate nell’industria del sesso. Una definizione che è stata respinta con forza dall’European Network of Migrant Women: “Le donne migranti sono sorprese dell’uso del termine ‘sex work’, una descrizione Occidentale e neo liberista di quello che fanno. Questo perché la maggior parte delle donne migranti sopravvivono alla prostituzione così come si sopravvive ai disastri naturali, alle carestie o alla guerra. Non lavorano nella prostituzione. [..] Le donne emigrano in Europa a causa della loro condizioni di grande difficoltà economica, e lo fanno in numero sempre maggiore perché temono per la loro vita. Se lasciate le vostre scrivanie da cui fate ricerca e parlate con le donne migranti – donne arabe, africane, indiane, donne dalle Filippine, dalla Cina e dalla Russia come me – la possibilità che troviate una donna che descriva la prostituzione come ‘lavoro’ è estremamente bassa. Questo perché il concetto di“sex work” non esiste nelle culture da cui provengono. Esattamente come altri esempi di vocabolario neoliberista, è stato esportato nel resto del mondo dalle ricche economie capitaliste occidentali, spesso attraverso i canali della politica della riduzione del danno e dei programmi di prevenzione dell’AIDS.”15Fondamentale a questo proposito è la ricerca dell’attivista per i diritti umani Lydia Cacho che ha dimostrato come i trafficanti usino il linguaggio delle femministe libertarie e parlino di libera scelta delle donne prostituite per giustificare le loro azioni. Una delle accuse che le libertarie fanno alle radicali, e che è stata diretta anche contro di noi in occasione di una delle presentazioni del libro di Rachel Moran Stupro a pagamento, è quella di essere responsabili dello stigma e della violenza che subiscono le donne nella prostituzione. La risposta di Rachel a questa accusa ne smaschera l’ipocrisia: “C’era un unico gruppo di persone che metteva in pericolo la mia vita quando ero nella prostituzione e non erano certo le abolizioniste, ma gli uomini che compravano sesso, gli stessi uomini i cui cazzi non saranno mai succhiati dalle femministe libertarie che difendono e sostengono il diritto di questi uomini a farsi succhiare dalle altre donne, donne deprivate di diritti e vulnerabili, socialmente svantaggiate ed emarginate per motivi razziali.”16
Un altro paradosso del femminismo libertario è che si definisce ‘intersezionale’.Come nel caso del concetto di ‘autodeterminazione’, si tratta di uno stravolgimento del suo significato originale. Il termine è stato coniatodall’attivista per i diritti umani e studiosa Kimberly Crenshaw nel 1989 ed è usato per descrivere l’intersecarsi di diverse identità sociali e relativi sistemi di oppressione e discriminazione. L’intersecarsi di elementi quali la razza, il sesso e la classe comporta una molteplicità di oppressioni che non devono essere considerate separatamente, ma come un’unica esperienza complessiva. Perquesto la voce delle donne nere non poteva essere inglobata nelle rivendicazioni del femminismo bianco senza che non ne fosse riconosciuta l’unicità e senza che le femministe bianche non si impegnassero nella lotta congiunta contro sessismo e razzismo. È importante ricordare che decenni prima del formarsi del movimento di liberazione delle donne, le donne nere si erano organizzate contro gli stupri sistematici che subivano dai bianchi razzisti. Attiviste per i diritti civili come Rosa Parks erano parte di un movimento per difendere le donne nere sottoposte a violenze sessuali razziste- un’intersezione di oppressioni che riguardava unicamente le donne nere negli Stati Uniti.
Un testo classico per capire che cosa sia veramente l’intersezionalità, e come sia impossibile da coinciliare con la visione del femminismo libertario, è l’articolo dell’afro-americana Vednita Carter Prostitution: Where racism and sexism intersectuscito nel 1993. Vednita è una pioniera del movimento abolizionista, soprav- vissuta alla prostituzione, ha fatto parte di WHISPER e ha fondato Breaking Free la prima organizzazione no profit a St Paul in Minnesota che aiuta ledonne e le ragazze ad uscire dall’industria del sesso. Vednita spiega come la posizione delle donne nere nella società sia estremamente difficile: “si tratta diuna doppia oppressione, quella di essere cresciuta come donna nera in una società bianca e quella di essere cresciuta donna in una cultura maschile.
Gli stereotipi razzisti diffusi nei media mainstream e nella pornografia rappresentano le donne di colore come animali selvaggi pronte a fare sesso in qualsiasi momento e con chiunque. Quando le donne nere entrano nella prostituzione è molto difficile per loro uscirne. La società diffonde un messaggio diretto agli uomini bianchi: adescate le donne nere per fare sesso, tutte le donne nere sono donne prostituite. Le donne nere quando finiscono in carcere vengono condannate a pene più severe rispetto alle donne bianche ecome conseguenza perdono la custodia dei loro figli.”17 Vednita ricordal’importanza del “black emotional pain”, il dolore emotivo delle persone nere causato dal razzismo bianco che rappresenta un ostacolo significativo per le donne nere che vogliono uscire dalla prostituzione, in quanto quel dolore impedisce loro di “prendere coscienza, di essere orgogliose e in pace con lapropria identità nera”. Nella conclusione dell’articolo Vednita si rivolge alle femministe bianche, in particolare alle libertarie che sostengono l’industria del sesso: “come possono le femministe mainstream dire di avere a cuore il destino delle donne nere ed essere contro il razzismo quando non prendono parola contro i compratori di sesso bianchi che stuprano le nostre figlie e sorelle, contro la polizia che prende di mira le donne nere prostituite mettendole in prigione lasciando liberi invece i compratori di sesso bianchi che vengono a caccia nelle nostre comunità?” Se le femministe non si batteranno contro razzismo e oppressione sessista insieme, dice Vednita: “il motto ‘la sorellanza è potente’ resterà uno slogan vuoto per le donne nere.” Come dimostrano le parole illuminanti di Vednita il femminismo libertario o della scelta contraddice la nozione stessa di intersezionalità, poichè cancella qualsiasi differenza tra chi può scegliere e chi non può, dichiara di adottare un’ottica intersezionale, ma ignora di proposito nella propria analisi elementi fondamentali come la razza ela classe. Sappiamo che l’industria del sesso sfrutta sistematicamente le donne più vulnerabili ed emarginate per motivi razziali, come si può allora parlare di ‘libera scelta’ addirittura inventando espressioni come ‘sex worker migrante’? Il femminismo libertario autodefinendosi intersezionale si appropria di una narrazione che appartiene alle attiviste nere strumentalizzandola per la propria agenda politica che finisce per coincidere pericolosamente con quella patriarcale.
Il 21 febbraio la nostra associazione ha partecipato ad un evento storico per il femminismo abolizionista, SPACE international ha organizzato la conferenza“Women of Colour Against the sex trade” (Donne di colore contro l’industria delsesso): per la prima volta sopravvissute alla prostituzione e attiviste afro- americane, asiatiche, ispaniche, indigene canadesi ed australiane sono intervenute per dire che la prostituzione è violenza maschile, e non lavoro, chel’industria del sesso è un business basato sulla misoginia razzista e colonialista.Suzanne Jay, la co-fondatrice di Asian Women Coalition Ending Prostitution/Asian Women for Equality, un’associazione nata 10 anni fa di cui fanno parte donneprovenienti dalle Filippine, Corea, Cina, Giappone, Birmania, ha ricordato come la prostituzione delle donne asiatiche sia un fenomeno globale e ilCanada sia un paese di destinazione per la tratta delle donne asiatiche. C’è unadomanda enorme di carne fresca, ragazze nuove. I centri massaggi sono i luoghi dove si trova la tratta. Quello che viene pubblicizzato sono massaggi tai, trattamenti di bellezza per le unghie, ma sono tutte coperture per la tratta. Il mercato del sesso si fonda sugli stereotipi razzisti, le donne asiatiche sono confezionate come prodotti per gli uomini bianchi, materia grezza perun’industria multi milardaria: sono ‘bamboline cinesi’, geishe, collegiali giapponesi, sono le ‘fidanzate’ sottomesse. La statura piccola e le caratteristiche fisiche da bambina delle donne asiatiche sono ridotte a feticcio per il porno e i bordelli. La militarizzazione è un’altro elemento che ha avuto un impatto terribile sulle donne asiatiche durante la seconda Guerra mondiale. I giapponesi hanno rapito donne dalla Corea, l’Indonesia, la Cina e le Filippine per ridurle a schiave sessuali, erano chiamate comfort women donne che dovevano offrire ‘conforto’ agli uomini dell’esercito. Una pratica andata avanti per più di 15 anni e che è stata ripresa dall’esercito Americano negli anni del dopo guerra. In questi bordelli i soldati americani hanno violentato più di 70.000 donne. Neco’le Daniels è una sopravvissuta e attivista afro-americana di San Francisco esperta nella lotta contro lo sfruttamento sessuale e l’individuazione delle cause della prostituzione nelle comunità emarginate. Neco’le ha raccontato di essere la figlia di un compratore di sesso, di come sua nonna e sua madre siano state nella prostituzione e di come il trauma accumulato da due generazioni di donne sia arrivato fino a lei che ha deciso di chiudere il cerchio, mettere fine alla spirale della violenza. Quando sua figlia è stata molestata dal suo sfruttatore ha deciso che non ci sarebbe stata una quarta generazione nella prostituzione. Ha spiegato come il razzismo sia pervasivo nell’industria del sesso, le donne nere siano sovrarappresentate nella prostituzione, siano pagate meno delle bianche e sottoposte a maggiori violenze da parte di compratori e polizia. Ally Marie Diamond è una sopravvissuta di Brisbane che rappresenta le donne indigene australiane e della Nuova Zelanda. In Australia e Nuova Zelanda le donne e ragazze indigene Maori, Thailandesi e delle isole del pacifico sono presenti in modo sproporzionato nel mercato del sesso. Ha condiviso con il pubblico la sua storia di violenza sessuale e razzismo vissuta fin dalla prima infanzia. Lo zio abusa di lei bambina quando ha solo 5 anni, i compagni di scuola la bullizzano e la isolano a causa del colore della sua pelle, il bullismo diventa presto abuso sessuale, ma gli adulti che avrebbero dovuto proteggerla non le credono o le rifiutano ogni tipo di sostegno perché credono allo stereotipo razzista della ragazza indigena ‘facile’. Ally ha deciso di parlare della sua esperienza per denunciare e lottare per le sorelle nel mondo che hanno perso la loro voce, che sono state silenziate dall’abuso della prostituzione. Bridget Perrier è una sopravvissuta indigena canadese, co-fondatrice di Sex trade 101, la prima associazione canadese di attiviste sopravvissute che aiuta le donne ad uscire dalla prostituzione. Quando aveva 12 anni, mentre si trovava in una casa di accoglienza statale, è stata indotta alla prostituzione. I clienti erano per la stragrande maggioranza dei casi bianchi e ricchi. Bridget ricorda il caso di Pocahontas come il primo esempio documentato a livello storico di una donna della sua comunità trafficata. In Canada le donne indigene sono la maggioranza, rappresentano il 52% delle donne prostituite. Questo abuso sistematico è causato dal trauma intergenerazionale dovuto al colonialismo, il razzismo, la povertà. Nella sua lingua nativa non esiste la parola prostituzione, le donne tradizionalmente erano viste come coloro che portano l’acqua e danno la vita. È stato il colonialismo bianco ad introdurre la prostituzione nella sua comunità, un meccanismo perfetto per decimarli. Perrier ricorda come durante un dibattito alcuni membri della lobby pro-prostituzione, l’English Collective of Prostitute (ECP) l’hanno accusata di avere il sangue sulle sue mani perchè faceva campagne per introdurre leggi che criminalizzavano gli uomini che pagano per il sesso. L’ECP sostiene che perseguire i clienti ha come conseguenza che diventino più nervosi e potenzialmente più violenti. Ma nei paesi in cui è stato introdotto il modello nordico è successo il contrario, si tratta di un deterrente per gli uomini e allo stesso tempo le donne prostituite possono ricevere aiuto dalla polizia se incontrano un compratore sadico in quanto la donna non è piu vista come una criminale, mentre chi compra sesso compie un reato. Bridget racconta anche di aver cresciuto la figlia di una delle vittime del serial killer Rober Pickton che ha ucciso 69 donne indigene prostituite e ha concluso dicendo che “non è lo stigma che uccide le donne o la legge abolizionista, sono gli uomini che ci comprano”.
Mickey Meji è una sopravvissuta sudafricana che fa parte di Embrace Dignity,un’associazione che combatte la tratta e lo sfruttamento sessuale e fornisce programmi di uscita per donne prostituite. Mickey ricorda come le femministe sudafricane definiscano la prostituzione come un apartheid sessista e razzista. Sono le donne nere povere a vendere sesso ai ricchi uomini bianchi in Sud Africa. Le donne che finiscono nella prostituzione hanno un bisogno disperato di denaro, ma quando riescono ad uscire sono ancora più povere. Invece di accumulare denaro si ammalano fisicamente e psicologicamente. I primibordelli in Sud Africa coincidono con l’arrivo degli imperialisti bianchi. I corpidelle donne nere sono stati oggettificati e commercializzati. Mickey rifiuta la distinzione tra prostituzione libera e forzata perché “le donne non finirebbero nella prostituzione se non esistesse la domanda maschile”. E conclude con unmessaggio per le femministe bianche pro-prostituzione: “le persone chespingono per la regolamentazione della prostituzione sono sempre uomini edonne bianchi, mai le donne nere povere”.
La voce di queste attiviste è femminismo intersezionale, ignorarle o tentare di sminuirne la portata politica come fanno le femministe libertarie ha l’effetto disvuotare di senso le loro dichiarazioni contro razzismo e patriarcato. Queste attiviste non sono vittime passive e mute come le vorrebbero le libertarie per imporre il proprio progetto di liberalizzazione dell’industria del sesso, ma soggetti politici autodeterminati che stanno portando avanti una battaglia perl’approvazione della legge abolizionista conosciuta anche come modello nordico su scala globale, l’unica che protegge i diritti umani delle persone prostituite e che si è dimostrata efficace nella lotta contro lo sfruttamento sessuale. Nonostante i tentativi di censura e il mobbing continuino da parte della lobby pro-prostituzione, il movimento abolizionista delle sopravvissute è sempre più forte e diffuso nel mondo e siamo onorate ed orgogliose di farne parte.