di Daniela Vassallo
Cosa è essere madre?
Istintivamente mi verrebbe da rispondere: “E chi lo sa?”
Eppure io sono madre da poco più di due anni di una bimba.
In realtà sono una delle due madri di mia figlia.
Sì, Agata, mia figlia, ha due mamme.
Io e la mia compagna, Silvia, ad un certo punto della nostra storia abbiamo desiderato avere un figlio insieme. Prima di allora non avevo mai pensato alla maternità come ad una meta, una condizione esistenziale attraverso la quale per me fosse necessario passare.
È stata una idea che piano piano è germogliata in noi, una prospettiva, una possibilità.
Silvia ed io abbiamo deciso insieme come concepirla, dove, chi di noi due dovesse portarla e come partorirla. Da una parte un percorso di volontà, dall’altra un lasciarsi andare a ciò che stava succedendo.
Per me, non credente, è stata un’esperienza mistica. Sentivo la vita crescere nel ventre di Silvia, la sentivo come se fossi stata io stessa a portarla. Quando la sera ci abbracciavamo la piccola avvertiva la mia schiena appoggiata alla pancia di Silvia e mi prendeva a calci: era il nostro modo di comunicare.
Nei nove mesi di attesa non mi sono mai sentita meno madre di Silvia, non ho mai provato invidia per la sua pancia, osservavo con stupore il suo corpo trasformarsi per accogliere nostra figlia e imparavo ad amarlo in modo nuovo.
Anche il parto è stato un momento di condivisione totale: abbiamo scelto di partorire a casa, assistite da un’ostetrica e da una ginecologa.
Ho provato il contatto puro e potente con la vita in una situazione di totale intimità e isolamento, fuori dal tempo e dallo spazio. Solo noi, tutte donne, il mondo fuori ma nello stesso tempo dentro, concentrato in quell’istante.
Da lì in avanti il nostro essere madri è stato quello che è per tutte le donne: accudire, coccolare, amare, spingersi al limite delle proprie forze, provare a rispettare, avere mille paure e impazzire di gioia.
Ma ha significato anche qualcosa di diverso. Ha significato imparare e inventare l’essere madri in due, sconfiggere nelle nostre menti il radicatissimo luogo comune per cui la MADRE è una sola, onnicom-prensiva, per dare spazio l’una all’altra e al nostro modo personale di essere madri.
Qualcosa è stato necessario fosse ceduto da parte di Silvia e qualcosa è stato necessario che venisse preteso da me. Per essere due madri abbiamo avuto bisogno di una decostruzione e ricostruzione del nostro rapporto, ed è stata necessaria una grande generosità da parte di Silvia nel farmi spazio e molta decisione da parte mia nel volerlo.
Per il resto siamo come due qualsiasi altri genitori: ci chiediamo ogni giorno quali strumenti dare a nostra figlia per procedere in questa vita e per aiutarla a diventare la donna che desidererà essere.
Su un piano strettamente pratico e legale le nostre preoccupazioni invece sono maggiori rispetto a quelle degli altri genitori.
Il genitore non biologico desidera, aspetta, cura, istruisce, mantiene i propri figli ma per la legge italiana non esiste. Se qualcosa dovesse succedere al genitore biologico, in questo caso Silvia, nostra figlia risulterebbe orfana e non voglio nemmeno immaginare le conseguenze.
Questo ha avuto anche ripercussioni sul piano emotivo, infatti per me essere madre di mia figlia senza essere riconosciuta da nessuno straccio di legge, da nessun pezzo di carta, ha significato strappare con le unghie e con i denti il mio spazio rispetto al mondo esterno, con il costante terrore (che non mi abbandona mai) di perderla nel caso malaugurato in cui dovesse succedere qualcosa a Silvia.
Sono stati mesi difficili, di lotta incessante, di forte disequilibrio tra ciò che volevo vivere in pace e serenità e l’esigenza pressante di dover affermare quello che ai nostri occhi e per nostra figlia è l’evidenza.
In realtà, fino ad ora, ci siamo trovate ad affrontare una realtà molto più aperta rispetto a quella cui ci eravamo preparate. La società, le persone, sono molto più disponibili di quanto non voglia farci credere un certo genere di propaganda. Dalle maestre del nido ai genitori dei compagni di Agata, dai vicini ai parenti, l’apertura e l’ascolto sono stati sorprendenti e sorprendenti le loro conclusioni, il loro rapportarsi a noi come un nucleo familiare qualsiasi.
Se nel quotidiano tutto sembra funzionare ci troviamo invece a dover affrontare le critiche di quegli esperti (o presunti tali) che intravedono nelle famiglie come la nostra un pericolo, pensano che l’assenza di un padre possa creare confusione nel bambino, squilibri affettivi, sessuali, comportamentali.
Sono timori fondati sul pregiudizio. Studi condotti da più di 30 anni a questa parte (e costantemente ignorati da molti dei suddetti esperti e da quasi tutti i politici) dimostrano che i figli di coppie omosessuali non soffrono di alcuno scompenso specifico legato alla loro situazione e anzi spesso presentano una mente più aperta e sono meno legati a stereotipi di genere. Nostra figlia chiama “mamma” entrambe ma sa benissimo a chi si riferisce e se la situazione non è chiara aggiunge il nostro nome.
Sa quali sono le nostre differenze, ha instaurato un rapporto particolare con ciascuna di noi e cerca in ciascuna ciò che per lei rappresentiamo. La piccola ha capito che esistono famiglie come la sua ed altre famiglie che invece sono diverse.
Adesso aspettiamo un secondo figlio. Se tutto andrà bene Agata avrà un fratello o una sorella.
Questa volta sarò io a portarlo, ma quello che provo per Agata non muta.
Mi domando anzi se sarò in grado di amare così tanto chi si prepara ad arrivare perché l’amore che mi lega alla mia prima figlia è unico.
Cerco in me la consapevolezza di poter amare ogni figlio in modo speciale. Essere madre forse significa diventarlo…
Anche adesso che dentro di me cresce una vita, continuo a pensare che il legame biologico è solo una delle componenti dell’essere madre; sicuramente non il suo compimento né significante assoluto.
L’essenza dell’essere madre per me si è data nel quotidiano, un giorno dopo l’altro, nella costruzione di un rapporto con un’altra persona, piccola e indifesa, ma altra da me in ogni caso. Essere madre per me è prendere la mano minuscola di questa persona, che ogni giorno sbozza un poco di più la propria personalità, tenerla nella mia e accompagnarla, finché ne avrà bisogno.
Essere madre significa anche ripercorrere la propria storia, fare i conti con il proprio passato da una prospettiva affatto nuova.
Quando ho iniziato ad avere coscienza di essere donna, e a voler essere donna facendo un percorso di conoscenza della storia del mio genere, quando ho avuto il desiderio di afferrare anche io quel filo invisibile che lega tutte le donne nel mondo e nel tempo, allora ho avuto la fortuna di trovare altre ‘madri’. Penso a quelle donne che per me sono state fondamentali per capire chi volevo diventare e per capire che questo cammino non ha mai fine. Maestre e, per il mio modo di sentire, madri.
Se penso al futuro di mia figlia, a lei come donna, spero con tutto il cuore che sapremo suscitare in lei questo amore e questo senso di appartenenza e, se non ne saremo capaci, spero che incontri altre ‘madri’ capaci di darle questa opportunità.