Diario di viaggio – appunti dalle presentazioni di Uomini che odiano amano le donne
di Monica Lanfranco
In viaggio dal 5 al 14 marzo
Si comincia con Torino, alla libreria Trebisonda, in San Salvario, il 5 marzo: una presentazione ‘rubata’ che si innesta una sera prima di quella ‘ufficiale’ al palazzo comunale.
Sorpresa: c’è una buona parte della classe universitaria del corso Donne e politica dell’università.
Due ore belle dense sul divano librario con Federica Tourn: saletta piena, con un pezzo finale della conversazione che verrà filmata e messa on line l’indomani.
Il giorno dopo, 6 marzo,ancora Torino, con l’assessora Spinosa, Mario Fatibene del Cerchio degli uomini e Beppe Pavan di Uomini in cammino: la sala è popolata anche da un attento pubblico maschile (da Pinerolo sono venuti in 10!), ci sono anche facce giovani e l’accoglienza è calda.
Mi rimetto in treno verso la Lombardia, e nel clima che sembra ancora quello del pieno inverno mi immergo nella provincia lombarda con Eleonora Bonaccorsi, l’editrice di Letteralmente femminista.
Eccomi alla biblioteca di Cernusco Lombardone: in attesa del pubblico sposto le sedie per disporle in cerchio con la timida e discreta sindaca del piccolo comune, prima di scoprire che è proprio lei.
La saletta si popola di famiglie, ci sono anche ragazzine con la mamma, coppie di insegnanti, molti uomini, l’infaticabile Luciano Bertoldi, sostenitore di Punto rosso. Anche qui le domande e gli interventi vertono soprattutto sulla devastazione culturale operata dal ventennio, trapela nemmeno tanto velatamente l’apprensione per l’incertezza delle persone adulte verso le giovani generazioni: ce la faranno, che la faremo a uscire dal pericoloso gorgo degli stereotipi sessisti?
A Piacenza, 8 marzo, sono ospite di Stefania Cherchi del gruppo Il pane e le rose, alla Camera del lavoro, con Sandro Bellassai di Maschileplurale.
Non è una presentazione del libro, ma l’argomento è molto vicino.
In occasione della giornata internazionale delle donne la scelta del gruppo piacentino è di rivolgersi agli uomini: per uscire dalla violenza sono loro, si sostiene, che devono riconoscere il loro genere come quello che storicamente confonde desiderio e possesso. Per spezzare questa confusione gli uomini devono ripartire dal loro corpo e della loro sessualità.
Impresa non facile, ma necessaria.
Una piccola pausa e poi la discesa verso Roma, il 12 marzo.
Lì mi attendono, alla Casa internazionale delle donne, Claudio Vedovati, vecchia conoscenza di Maschileplurale, e lo scrittore Giampaolo Simi, autore dell’intenso La notte alle mie spalle, che non conoscevo e che incontro per la prima volta in questa occasione.
Entrambi sono presenze intense: Claudio afferma che uno dei nodi del maschile è quello di non essere stato capace, a differenza delle donne, di pensarsi come genere, e quindi di non avere uno sguardo storico sul proprio genere. E’ colpito, dice, della quasi assoluta assenza da parte degli uomini che hanno risposto di consapevolezza della propria potenzialità paterna, quando si ragiona di sessualità e virilità. Simi racconta del perché abbia scritto un libro così doloroso sul femminicidio: un giorno di pochi anni fa, a tavola e a famiglia riunita, la sorella che lavora in ospedale raccontò di essere rimasta sconvolta nell’aver visto il corpo di una donna, uccisa a botte dal marito.
Il 14 marzo è la volta di Ciampino.
Laura Varlese, amica di Marea e una attivista del gruppo Città attiva a Ciampino ha organizzato una presentazione molto giovanile al bar dei laghi.
È presente il più giovane spettatore di questa parte di presentazioni: Michele, figlio di Mario, ha appena un anno, e gorgheggia in sottofondo.
Ma ben presto, dopo una prima risposta alle domande poste da Laura e Lorenzo Natella, un altro suono arriva a interrompere il dibattito: una donna sui trent’anni irrompe in sala urlando, chiaramente in stato di shock.
Grida che non ne può più, che di nuovo, come poche ore prima nella mattinata, un uomo che la perseguita ha cercato di investirla con la macchina. “Ho già fatto due denunce, questo viene sotto casa, ora ha cercato di mettermi sotto con la macchina, mi ha preso la bicicletta. A cosa serve che io lo denunci? Tanto quello prima o poi mi ammazza, non frega nulla a nessuno.”
La donna va in iperventilazione, la soccorriamo, i due giovani titolari del bar mi sorprendono per la loro gentilezza e delicatezza nei suoi confronti, la confortano e sostengono.
Tutte le persone presenti si danno da fare, c’è chi chiama i carabinieri, (che non verranno mai) chi cerca di contattare il centro antiviolenza, chi telefona alla polizia che invece finalmente arriva. Non è facile convincere i due poliziotti che si tratta di violenza maschile contro questa donna, che pure è conosciuta per aver già segnalato lo stalker, noto nell’ambiente della droga: come spesso succede le forze dell’ordine insistono sul fatto che non ci sono segni visibili di violenza, e quando nel racconto arrivo al punto in cui cito la sparizione della bicicletta uno dei due sbotta: “Ecco, allora è rapina”. Ho uno scatto di nervi, del quale mi pento subito, ma ormai è fatta. Comunque, dopo un po’ di spiegazioni con i poliziotti e un colloquio con una operatrice del centro antiviolenza la donna viene riaccompagnata dalla polizia a casa.
La presentazione riprende, sono soprattutto Lorenzo e Mario a prendere la parola: i due giovani uomini condividono le contrastanti emozioni provate, si parla dei ‘discorsi da bar’ dei maschi, nei quali dietro l’apparente leggerezza si potrebbe annidare il bisogno di confronto e di scambio sui sentimenti e sulle emozioni, ai quali per educazione e pregiudizio non sono avviati, al contrario delle femmine. Si parla di paternità, dell’assenza di modelli positivi, e della solitudine dell’essere uomo, giovane e padre.
Di sfondo c’è l’irruzione della realtà brutale di poco prima, quella che spesso si legge solo sul giornale. Con tutto il suo portato di sofferenza e di rabbia quella parentesi nel pomeriggio di scambio e incontro politico rafforza la convinzione che si debba essere sempre più coscienti che la violenza sulle donne non è lontana, ma è vicina, vicinissima, e ci vuole un attimo perché diventi femminicidio.
Riconoscerla, fermarla, fare argine contro di essa, sin dai primi sintomi, che spesso si annidano nel linguaggio e nella sottovalutazione del sessismo, è urgente, necessario, un imperativo in ogni comunità.